L’opuscolo che contiene le cinque omelie è ormai introvabile. Per questo le ripubblichiamo sul nostro sito, facendole seguire su questa pagina dalle letture bibliche proclamate nella festa.
Le omelie del Cardinale Michele Pellegrino
pronunciate in occasione della festa di Santa Rita
Ecco le cinque omelie in cui, partendo dalle letture bibliche, nel corso degli anni il Cardinale Pellegrino si è rivolto ai fedeli traendo dalla vita di Santa Rita alcuni insegnamenti di perdurante attualità. Per l’Arcivescovo “la devozione ai Santi è autentica, è buona, se non si ferma ai Santi. Ma i Santi sono gli amici, i fratelli maggiori che ci prendono per mano per condurci a Gesù Cristo. Ed è soltanto così che Santa Rita può gradire l’omaggio della nostra devozione e della nostra preghiera”. Esortandoli ancora: “Cari fratelli, vogliamo renderci conto? Sarebbe strano che uno dicesse: “Io sono devoto di Santa Rita” e poi si accontentasse di andare a Messa a Natale, a Pasqua e alla festa di Santa Rita. Non sarebbe niente vero che è devoto di Santa Rita. Non è devoto di Santa Rita chi trascura la preghiera del mattino e della sera, chi trascura la Messa della domenica, l’incontro al quale il Signore ci invita per ascoltare la parola di Dio, per pregare con lui, per mangiare il Pane che è il suo Corpo sacrificato per noi”.
Per il Cardinale l’esempio di Santa Rita può rappresentare lo spunto per rafforzare la fede del cristiano: ecco quindi il tema della carità che la Santa di Cascia sperimentò nella sua vita, dell’amore fraterno, del perdono, sentimento questo che accompagnò le vicende di Rita, ma anche una grande lezione di speranza. Ecco, la speranza risuona spesso nelle omelie pronunciate dal Cardinale e che anche ai nostri occhi sono di un’attualità sconvolgente: “I Santi ci ricordano che c’è una vita futura, perché essi sono vivi come noi e più di noi e ci ricordano che anche noi siamo chiamati a regnare con Cristo glorioso. I Santi e quindi anche Santa Rita ci animano a quella che nella liturgia della Messa chiameremo anche oggi “la beata speranza”: la speranza che già nella vita deve accompagnarci: povera nostra vita se perdessimo la speranza. Ebbene i Santi ci sono vicini come amici buoni che ci aiutano a sperare”. Le parole di San Paolo fanno da guida al tema: “Stimando quindi che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8,18); e ancora l’invito “Siate lieti nella speranza” (Rm 12,12) che Santa Rita incarnò profondamente nella speranza che il Signore ci sarà vicino in mezzo alle prove e alle tribolazioni di ogni giorno, nella speranza che Egli aiuterà specialmente quelli che sono più provati dalla sofferenza, dalla miseria, dall’oppressione, dalla fame, dallo sfruttamento e che noi dobbiamo cercare di aiutare per essere collaboratori della loro gioia. Questa speranza - conclude il Cardinale Pellegrino – ci animi nella preghiera specialmente nella liturgia eucaristica in cui Gesù, che è la sorgente della nostra speranza, si farà presente per assicurarci del suo amore, del suo aiuto”.
Le letture bibliche di riferimento
Salmo Responsoriale
(Dal salmo 33)
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
Celebrate con me il Signore,
Guardate a lui e sarete raggianti,
L’angelo del Signore si accampa
Temete il Signore, suoi santi,
Seconda lettura
Alleluia, alleluia.
Vangelo
Chi è e che cosa ci insegna Santa Rita
Omelia del 22 maggio 1971
Carissimi, chi è Santa Rita? Che cosa ci insegna Santa Rita? Io penso che voi affollate così numerosi e attenti, stasera, il Santuario di Santa Rita, vi interessate a queste due domande: chi è e che cosa ci insegna Santa Rita? Ebbene la risposta noi l’abbiamo sentita. L’abbiamo sentita nella parola di Dio che è stata proclamata in questo momento nelle tre letture: una del libro dell’Apocalisse (3,14.20-22), una dalla lettera di san Paolo ai Romani (12,9-19a. 20a. 21) e una dal Vangelo di San Giovanni (15,1-8). Ma qualcuno penserà: “In queste tre letture, io non ho sentito il nome di Santa Rita”. Davvero non c’è il nome di Santa Rita in queste tre letture. L’abbiamo invocata nella preghiera d’inizio. Ma in queste tre letture non c’è il nome di Santa Rita. E allora? Ecco, io dico che noi troviamo la risposta a queste domande: chi è Santa Rita, cosa ci insegna Santa Rita? Nella parola di Dio, nella parola di Gesù, perché i Santi, tutti i Santi, ci conducono a nostro Signore Gesù Cristo. La devozione ai Santi è autentica, è buona, se non si ferma ai Santi. Ma i Santi sono gli amici, i fratelli maggiori che ci prendono per mano per condurci a Gesù Cristo. Ed è soltanto così che Santa Rita può gradire stasera l’omaggio della nostra devozione e della nostra preghiera.
Pregare per essere uniti a Gesù
In realtà, quando guardiamo un momento a quello che ha fatto Santa Rita, per quel poco che ne possiamo sapere, è facile capire che tutto essa ha fatto unicamente per Gesù Cristo e per i suoi fratelli. La sua fu una vita di preghiera, una vita di sacrificio nascosto, fu soprattutto una partecipazione dolorosa e amorosa alla Passione di nostro Signore Gesù Cristo. Quella spina e quella corona di spine con cui noi la vediamo raffigurata, ci richiamano appunto questo fatto, che Gesù volle farla partecipare nel modo più intimo alla sua Passione. Allora noi comprendiamo quelle parole che Gesù ci ha rivolto un momento fa nel Vangelo: “Io sono la vite e voi i tralci” (Gv 15,5). Il tralcio deve rimanere unito alla vite se vuol portare frutto. Il tralcio che viene staccato dalla vite non può essere buono se non ad essere gettato nel fuoco e bruciato. Così noi dobbiamo essere uniti a Gesù come Santa Rita, uniti a Gesù perché lui solo è il nostro Salvatore, lui solo è il nostro Maestro; uniti a Gesù con la fede, uniti a Gesù come il tralcio che, unito alla vite, vive della medesima linfa che sorge su dalle radici e dal tronco e si comunica a tutti i tralci. Di conseguenza, dobbiamo pregare per essere uniti a Gesù. San Paolo ci ha avvertiti un momento fa che dobbiamo essere perseveranti nella preghiera. È la preghiera che ci unisce a Gesù.
Cari fratelli, vogliamo renderci conto? Sarebbe strano che uno dicesse: “Io sono devoto di Santa Rita” e poi si accontentasse di andare a Messa a Natale, a Pasqua e alla festa di Santa Rita. non sarebbe niente vero che è devoto di Santa Rita. Non è devoto di Santa Rita chi trascura la preghiera del mattino e della sera, chi trascura la Messa della domenica, l’incontro al quale il Signore ci invita per ascoltare la parola di Dio, per pregare con lui, per mangiare il Pane che è il suo Corpo sacrificato per noi. La festa di Santa Rita è essenzialmente giornata di preghiera. Qualcuno sarà stato un po’ meravigliato e anche forse un pochino dispiaciuto, lo comprendo, perché quest’anno non si fa più la processione con la fiaccolata. La ragione è molto semplice. La festa dei Santi si celebra con la preghiera; e nella processione, nella fiaccolata, come si fa in questi casi, c’è sì qualcuno che prega, ma non oserei dire che sia veramente una preghiera di tutti quelli che vi assistono con curiosità come assisterebbero ai fuochi artificiali. Ecco perché si è voluto ridurre la festa di Santa Rita a quello che è proprio preghiera: per richiamarci al significato vero del culto dei Santi e della vera devozione di Santa Rita.
Imitare Gesù nella sofferenza
Nel Vangelo abbiamo ascoltato una parola di Gesù. Quelli di voi che vengono dalla campagna la capiscono immediatamente. Per quelli della città occorre forse una piccola spiegazione. Gesù dice: “ogni tralcio che porta frutto, (l’agricoltore) lo pota, perché porti più frutto” (Gv 15,2). È quello che fa appunto il contadino quando, al principio della primavera, pota le viti, toglie i rametti inutili e parassiti perché la vite porti maggior frutto.
Questo ci ricorda la penitenza, la mortificazione, lo spirito di sacrificio di Santa Rita. Una vite, quando le vengono recisi quei rametti, forse se potesse parlare si lamenterebbe. “perché mi tagli?”, direbbe al contadino. Ma il contadino lo fa per il suo bene. Voi capite. Santa Rita ha un grande insegnamento da darci. La sua fu una vita di sofferenza: sofferenze di cuore, sofferenze di corpo, sopportate con amore, con fede, aderendo alla volontà di Dio. Essa ci insegna che se vogliamo essere devoti dei Santi e di Santa Rita, dobbiamo accettare il sacrificio e la mortificazione, dobbiamo mortificare i nostri istinti.
Cari fratelli, c’è bisogno di dirlo? Se ci fosse qualcuno che crede di essere devoto di Santa Rita, magari perché si è fatto benedire la macchina, poi non avesse scrupolo di tradire la moglie (e viceversa), sarebbe meglio che Santa Rita la lasciasse in pace; se ci fosse qualcuno che si crede devoto di Santa Rita e poi si permette di dare sfogo agli istinti della carne, senza scrupolo di sfruttare quelle povere creature che danno spettacolo di sé per le strade della città e delle campagne, e no! Non si può mettere la devozione a Santa Rita d’accordo col vizio, col peccato, con l’abbandono agli istinti della carne.
Ricordiamo dunque questi insegnamenti. Santa Rita ci insegna a mettere Gesù al centro della nostra vita: nella preghiera, nella Messa, nella Comunione; ci insegna a imitare Gesù; imitare Gesù povero e amico dei poveri, imitare Gesù sofferente e amico di chi soffre.
Amare il prossimo e adoperarsi per la giustizia
C’è un altro esempio che ci dà Santa Rita, non meno importante. L’abbiamo ascoltato dalla parola di San Paolo nella seconda lettura. È tutto un programma. È un programma di carità, di amore fraterno.
Sappiamo come Santa Rita ha praticato questa carità, questo amore, specialmente con quel poveretto di suo marito che era tutt’altro che un modello di marito, che le fece soffrire l’impossibile, ed essa sopportò tutto con una eroica pazienza. Sappiamo come seppe perdonare a chi l’aveva odiata e fatta soffrire. L’abbiamo ricordato proprio un momento fa nella preghiera. Ecco allora gli esempi che ci dà Santa Rita e che ci vengono richiamati da San Paolo “la carità non abbia finzioni” (Rm 12,9); un amore sincero, amore di cuore, l’amore che esclude l’egoismo, l’amore per il quale non ci ripieghiamo su noi stessi, ma guardiamo ai nostri fratelli secondo il comando di Gesù e li amiamo come egli stesso ha amato noi. Perché dice appunto San Paolo: “amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (v.10). “Siate premurosi nell’ospitalità” (v.13). E poi: “Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite!” (v.14). Ci insegna a prendere parte alle gioie e alle pene del nostro prossimo: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto” (v. 15). “Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti” (v. 18). Ecco il programma che ci dà San Paolo e che Santa Rita ha realizzato così mirabilmente. E non sono le belle parole che contano davanti a Dio: Dio legge nel cuore e se noi diciamo delle belle parole ma nel cuore siamo egoisti, siamo chiusi in noi stessi, pensiamo soltanto a stare bene noi e non guardiamo ai fratelli, è inutile allora, la devozione ai Santi. Non servirebbe certamente essere devoti di Santa Rita e poi conservare nel cuore il rancore, il proposito di vendetta, rifiutarci di perdonare se abbiamo ricevuto qualche torto. Carità, amore e, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, prima ancora dell’amore, la giustizia. Il Concilio ci ammonisce a non illudersi di dare come atto di amore, di carità, quello che è dovuto per giustizia. La devozione ai Santi, anche a Santa Rita, induce tutti ad un esame di coscienza. Induce ad un esame di coscienza coloro che, tenendo in mano le leve del potere economico, possono disporre del lavoro e della salute dei loro dipendenti e richiama il sacrosanto dovere della giustizia: di dare a ciascuno quello che gli spetta, di rispettare la persona di tutti, la dignità di tutti, perché davanti a Dio siamo tutti uguali, non c’è differenza tra ricchi e poveri, tra ignoranti e sapienti, tra chi occupa una posizione sociale elevata e chi si trova emarginato nella vita. Tutto questo dobbiamo ricordarlo se vogliamo veramente essere devoti dei Santi.
Guardare alla vita eterna che ci attende
E infine, l’ultima lezione. L’abbiamo ascoltata nella lettura dell’Apocalisse. Abbiamo sentito quelle parole così semplici e belle. Dice Gesù: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). È la promessa che il Signore ci fa di farci entrare nella gioia del Paradiso se viviamo nella fede, nell’amore, nella carità verso i fratelli. È un invito che ci fanno tutti i Santi, che ci fa Santa Rita a guardare al di là di questa vita terrena, a guardare alla vita eterna che ci aspetta. Perché noi onoriamo i Santi? Che motivo ci sarebbe di onorare una Santa vissuta circa cinquecento anni fa se non fossimo certi che questa Santa vive, vive nella gloria del Cielo e di là ci insegna con i suoi esempi, di là ci assiste con la sua intercessione? La devozione a Santa Rita è quindi un invito a guardare alla vita eterna che ci attende.
Vogliamo chiedere, per l’intercessione dei Santi, della grazie d’indole temporale: la salute, la salvaguardia dei nostri interessi, il lavoro, la pace in famiglia, la promozione (perché no, siamo vicini agli esami). Possiamo domandare tutto questo? Certo, lo possiamo domandare, ma ricordandoci che c’è qualcosa che vale immensamente di più: c’è la vita eterna che ci attende e servirebbe ben poco ottenere, per l’intercessione dei Santi, la guarigione o la promozione agli esami o vincere una lite o condurre a buon porto un affare, se poi perdessimo la nostra anima per l’eternità.
Imparare dai Santi
Ricordiamoci, fratelli carissimi. I Santi ci insegnano qual è la meta cui noi dobbiamo tendere, quella meta a cui essi sono arrivati credendo in Gesù Cristo, amando lui, vivendo secondo il suo Vangelo. Se non cerchiamo di fare questo, cari fratelli, le rose di santa Rita non servono a salvarci l’anima; se non cerchiamo di fare questo, non serve portare a casa la medaglietta e il quadretto di santa Rita. queste cose possono anche servire, ma ad una condizione: che siano dei richiami che ci fanno pensare alla Santa, che ci invitano ad invocare la Santa e che ci spronano ad imitare le sue virtù. Ricordiamolo, perché altrimenti rischiamo, col culto dei Santi, che qualche volta diventa superstizione, di dare scandalo anziché di ottenere un beneficio all’anima nostra e di giovare ai nostri fratelli. Se la devozione a Santa Rita la pratichiamo così, come ci insegna la parola di Dio, allora abbiamo ragione di fare festa, come facciamo festa oggi, allora vale la pena di venire qui a pregare la Santa, allora possiamo uscire di qui rallegrati, gioiosi, certi di portare con noi la benedizione del Signore che ci viene attraverso le preghiere della Santa che noi invochiamo. Ed è quello che io auguro di tutto cuore a tutti voi che siete qui presenti: di uscire di qui col cuore colmo di pace e di gioia e portarle nelle vostre famiglie, nei vostri paesi. Irradiare questa gioia, che è la gioia del cristiano che vive unito a Gesù come il tralcio alla vite, che vive nella grazia di Dio, che sa che al di là di questa vita lo attende il Paradiso, che vive nell’amore sincero, operoso e generoso verso i fratelli. Questa è la grazia che noi chiediamo per intercessione di Santa Rita nella liturgia eucaristica che ci apprestiamo a celebrare. Gesù Cristo, che Santa Rita ha amato con tutto il cuore, che ha imitato nella sua passione dolorosa, si farà presente fra poco su questo altare come fu presente sulla croce quando si sacrificò per noi: Santa Rita ci aiuti ad avvicinarsi a lui con tanta fede, con tanta fiducia, con tanto amore.
Attraverso i Santi avvicinarsi a Gesù Cristo
Omelia del 22 maggio 1972
Alla porta della chiesa, là a destra, vedo l’immagine di Santa Rita; qui sono davanti all’altare, sul quale, fra poco, nostro Signore Gesù Cristo si farà presente com’era presente sulla croce quando si sacrificò per noi al Padre. Siamo qui per offrire insieme il sacrificio della Messa, per stringerci intorno a Gesù, ascoltare la sua parola, pregare insieme con lui e offrirlo, come dicevo, in sacrificio al padre per noi e per tutto il mondo.
Ecco dunque il significato di questo nostro incontro. Santa Rita, che vi ha aspettato là alla porta della chiesa, ci ha accompagnati qui, all’altare, per farci incontrare con nostro Signore Gesù Cristo perché questa è la missione dei Santi: condurci a Cristo. Questo è il senso vero cristiano della devozione ai Santi: attraverso i Santi avvicinarci a Gesù Cristo, il nostro supremo modello, il nostro fratello, il nostro Salvatore. Santa Rita non ha fatto altro che cercare Gesù Cristo: nella preghiera, nella meditazione sulle sofferenze della sua Passione, nel compimento del suo dovere quotidiano di fanciulla, di sposa, di madre, di vedova consacrata al Signore, nella mortificazione costante per unirsi a Gesù sofferente. La parola di Dio che abbiamo ascoltato nelle tre letture ci invita a meditare sugli esempi che ci dà Santa Rita e, sul suo esempio e con l’aiuto della sua preghiera, avvicinarci sempre di più a nostro Signore Gesù Cristo.
Invito alla speranza
La prima lezione che ci dà la parola di Dio e che vediamo avverarsi in Santa Rita è una lezione di speranza, è un invito alla speranza. “Voi che temete il Signore, confidate in lui; il vostro salario non verrà meno. Voi che temete il Signore, sperate i suoi benefici, la felicità eterna e la misericordia” (Sir 2,8-9). Dio, come dice San Paolo, è il “Dio della speranza” (Rm 15,13) e tutta la Sacra Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento non è che un canto alla potenza, alla bontà, all’amore del Signore e un invito a noi a sperare in lui. Per questo Gesù dice: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio” (Gv 14,1). E Santa Rita ci è di esempio nella speranza. Attraverso tante difficoltà e pene di cui è seminata la sua vita, obbligata a vivere con un marito che non la comprendeva, che la trattava duramente e crudelmente, provata nei suoi affetti di madre in modo terribile dalla morte dei due figli, rifiutata per molto tempo dal monastero in cui voleva entrare, afflitta da una piaga che la cagionava dolori atroci, essa non si è mai persa d’animo, ha sempre continuato a sperare.
San Paolo ci ha detto nella seconda lettura che dobbiamo essere “lieti nella speranza” (Rm 12,12); trovare nella speranza motivo di conforto e di gioia. Mi sembra di leggere, fratelli e sorelle che siete qui presenti, sul volto di molti tra voi il segno di ansie, di sofferenze, di pene, che voi avete portato qui oggi a Santa Rita per averne incoraggiamento, sollievo e conforto. Sì, animiamoci alla speranza. San Paolo definisce i pagani come “coloro che non hanno speranza” (1 Ts 4,13), quasi a dire che noi cristiani dobbiamo essere gli uomini della speranza. Speranza che ha per oggetto la vita presente, in tutti i suoi momenti, la speranza del cristiano che sa di poter contare su di un Padre che lo ama, sa che ogni passo della sua esistenza è sotto l’occhio del Padre celeste che non ci abbandona mai. La speranza che, come ci diceva la parola di Dio nella prima lettura, ci fa guardare alla felicità eterna che ci attende perché questo è l’oggetto ultimo e definitivo della nostra speranza: la vita eterna alla quale siamo chiamati. Siamo invitati alla speranza, a sperare non in noi stessi, non nei nostri meriti, non nelle nostre virtù, non nella nostra forza; certo dobbiamo fare appello a tutta la forza della nostra volontà, ma siamo chiamati a sperare in Gesù Cristo, in lui che è morto per noi sulla croce; siamo chiamati a sperare e la speranza ci porta alla preghiera, la preghiera a cui Santa Rita dava tanto tempo del giorno e della notte che essa passava meditando sulla Passione di Gesù. La preghiera! Perché abbiamo ancora sentito la parola di Dio che ci assicura: “Chi ha confidato nel Signore ed è rimasto deluso? O chi ha perseverato nel suo timore a fu abbandonato? O chi lo ha invocato ed è stato da lui trascurato? Perché il Signore è clemente e misericordioso; rimette i peccati e salva al momento della tribolazione” (Sir 2,10-11). Perciò San Paolo ci ha detto che noi dobbiamo essere “perseveranti nella preghiera” (Rm 12,12) e ce l’ha ricordato Gesù nella pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato adesso, ci ha esortati a pregare nel suo nome, assicurandoci che la nostra preghiera sarà esaudita.
Lezione di amore fraterno
Una seconda lezione ci dà la parola di Dio, illustrata dall’esempio di Santa Rita: una lezione di carità, di amore fraterno. Abbiamo sentito San Paolo che verso la conclusione della lettera ai Romani presenta ai cristiani tutto un programma di vita che ha il suo centro nella carità: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno” (Rm 12,10), come ha fatto Santa Rita prima in famiglia e poi nella comunità religiosa in cui è entrata. “Benedite coloro che vi perseguitano” (Rm 21,14), ci ha detto San Paolo e Santa Rita è meraviglioso esempio di chi adempie questa esortazione di Paolo, esempio di perdono, lei che ha sopportato senza lamentarsi i maltrattamenti e le incomprensioni di suo marito, lei che quando il marito fu ucciso perdonò generosamente agli uccisori di lui mettendo in pratica la parola di Paolo: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male” (Rm 12,21). Ecco dunque la lezione di carità che ci dà Santa Rita. “Amatevi gli uni gli altri – ci ha detto Paolo – con affetto fraterno” (Rm 12,10). Questo è il fondamento della carità, siamo veramente fratelli, figli di Dio, fratelli in Gesù Cristo che è il nostro fratello maggiore. Come fratelli siamo uguali, non ha senso ritenersi superiori gli uni gli altri perché si è più ricchi, perché si è più intelligenti, più istruiti, perché nella società si occupano posti di rilievo e di comando: siamo uguali davanti a Dio. Eppure qual è la realtà della nostra vita di ogni giorno? Qualche mese fa nella visita pastorale che ho fatto in questa parrocchia, come nelle altre parrocchie della zona, sono andato a vedere i vostri ammalati e che cosa ho visto? Come dappertutto, ho visto delle famiglie dove grazie a Dio si sta bene, si può avere tutto quello che occorre, si può godere di un benessere che speriamo procurato onestamente, ma ho visto anche della povera gente che manca delle cose più necessarie, ho visto delle famiglie che vivono nella nera miseria e non potrebbero mettere insieme il pranzo e la cena se non fossero sostenute dalla carità dei buoni: questa è la realtà. E allora ecco Paolo che ci esorta alla carità. Carità sincera: “La carità non abbia finzioni… Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri, non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili (Rm 12,9.16). Carità che perdona: “benedite cloro che vi perseguitano, benedite e non maledite…non fatevi giustizia da voi stessi” (Rm 12,14.19). Carità che si esprime in una solidarietà vera e autentica; se siamo fratelli dobbiamo sentirci solidali. Perciò Paolo ci ammonisce: siate “solleciti per le necessità dei fratelli” (Rm 12,13), “cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini” (Rm 12,17), promuovete la pace. Solidarietà! Dobbiamo praticare la carità verso i fratelli, aiutando nella misura del possibile il fratello che ha bisogno e dandoci da fare, ognuno secondo le sue possibilità, per estirpare le cause di tante miserie, di tante stridenti sperequazioni sociali, per promuovere la giustizia in una società che è così lontana dal realizzare l’ideale umano e cristiano, per essere vicini a tutti i nostri fratelli, ricordandoci che se una scelta dobbiamo fare, se una preferenza dobbiamo usare, secondo l’esempio e la parola di Gesù, questa scelta dobbiamo farla per i poveri, questa preferenza senza escludere nessuno dal nostro amore sincero e operoso, la dobbiamo usare verso i più poveri, verso quelli che hanno maggiormente bisogno.
Rimanere uniti a Cristo
Ancora un’ultima lezione ci dà la parola di Dio e viene illustrata dall’esempio di Santa Rita. Ascoltiamo questa lezione in quell’invito di Gesù così suadente, così incoraggiante: “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4). Rimanete in me e io in voi! Gesù si è paragonato a una vite della quale noi siamo i tralci; come il tralcio è intimamente unito alla vite da cui prende la linfa che scorre su e fa sì che il tralcio possa vivere e portare fiori, pampini e grappoli maturi, così noi siamo uniti a nostro Signore Gesù Cristo per il Battesimo, incorporati a lui nella Chiesa, e Gesù deve essere sempre al centro della nostra vita, perché: “senza di me – Gesù ha dichiarato – non potete far nulla” (Gv15,5). Ecco allora Santa Rita sempre unita a Gesù nella preghiera assidua, come ho già detto, unita a Gesù nella sofferenza, nella volontà di imitare la sua Passione. Sappiamo come il Signore ha disposto che partecipasse alla sua sofferenza, con la piaga dolorosa che portò in se stessa. Santa Rita è proprio somigliante a quel tralcio, che, come dice Gesù, il vignaiolo monda, cioè lo pota, lo taglia, lo fa soffrire in certo modo, per purificarlo affinché porti maggior frutto. Santa Rita è unita a Gesù nella carità fraterna, nella dedizione continua ai fratelli.
Gesù centro della nostra vita
Carissimi, l’abbiamo detto da principio: Santa Rita vuole condurci a Gesù. È Gesù al centro della nostra vita, nessun altro deve usurpare questo posto che spetta unicamente a Gesù, nemmeno i Santi devono essere al centro della nostra vita, nessuno dei Santi. Al centro c’è Gesù. E noi siamo veramente devoti dei Santi se, sull’esempio e con la preghiera dei Santi, ci avviciniamo a Gesù per conoscerlo meglio, per amarlo sinceramente, per servirlo nei nostri fratelli perché è lui che ha detto: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Fratelli carissimi, Santa Rita ci aiuti a comprendere la parola di Dio che essa ha così luminosamente compreso e così mirabilmente messo in pratica Santa Rita ci accompagna a Gesù adesso, nella liturgia eucaristica perché, nella preghiera, nell’accettazione della sua croce, nella dedizione ai nostri fratelli, noi possiamo incontrarci con lui e trovare in lui la sorgente della nostra speranza e dell’amore che ci unisce a lui e a tutti i nostri fratelli.
I nostri modelli
Omelia del 22 maggio 1973
Siamo riuniti qui nel ricordo di Santa Rita. Che cosa significa ricordo?
I Santi sono i nostri fratelli maggiori, sono quelli che ci hanno illuminati con gli esempi della loro vita, sono quelli che ci vogliono condurre a Dio, il Signore e Salvatore nostro. Certo noi possiamo e facciamo bene a ricorrere ai Santi per chiedere al Signore quello di cui abbiamo bisogno, ricordandoci sempre che alle volte chiediamo quello di cui non abbiamo bisogno, che non fa veramente bene a noi. Comunque è giusto che ci rivolgiamo ai Santi, ricordandoci sempre che l’unico mediatore è nostro Signore Gesù Cristo, che tutto ciò che noi abbiamo avuto e possiamo avere dal Padre celeste lo abbiamo per mezzo di Gesù Cristo. I Santi ci aiutano ad avvicinarci con maggior fede, con maggior fiducia a nostro Signore Gesù Cristo. Ma i Santi hanno nella Chiesa anche un’altra funzione, ancora più importante: sono i nostri modelli, sono quelli che meglio hanno messo in pratica il Vangelo, la Parola di Dio. Ecco perché nelle feste dei Santi, e anche oggi, nella festa di Santa Rita, abbiamo ascoltato la Parola di Dio nelle tre letture. Come a dire: Santa Rita ha messo in pratica la parola di Dio e ci invita a fare, anche noi, altrettanto con la grazia del Signore e per la sua intercessione. Che cosa dunque ci insegna parola di Dio che abbiamo ascoltato? Potrei suggerirvi tre pensieri che affido alla vostra considerazione.
Primo, la parola di Dio ci indica un programma di vita cristiana, quel programma che Santa Rita ha adempiuto in maniera esemplare. Secondo, la parola di Dio ci indica che cosa possiamo fare per realizzare questo programma di vita. Terzo, la parola di Dio ci indica la mèta che ci attende se cerchiamo di condurre una vita cristiana, quella mèta di felicità eterna, a cui Santa Rita è arrivata, che gode nel cielo e che spetta anche a noi.
Un programma di vita
Un programma di vita è la pagina di San Paolo nella lettera ai Romani: un programma di vita che si incentra tutto nella carità, nell’amore fraterno. Volete essere veramente cristiani, volete essere devoti a Santa Rita, non a parole ma a fatti? Ecco ciò che è più importante: la carità fraterna. Una carità, ci dice Paolo, che non abbia finzione, che sia sincera, non fatta di parole e di gesti che costano poco, ma di cuore e di fatti. Una carità che ci induce a fuggire il male e a cercare sempre il bene, ad amarci gli uni gli altri con affetto fraterno, ricordando che siamo veramente fratelli e dobbiamo vivere da fratelli. Una carità che ci induce a prevenirci a vicenda nel renderci onore, non voler essere da più degli altri ma riconoscerci veramente piccoli e vedere volentieri i meriti e le buone qualità degli altri. Ci induce, questa carità, ad uno zelo, ad un impegno deciso e fervente, ci induce alla speranza, ad essere forti nella tribolazione; ognuna di queste frasi meriterebbe di essere commentata con gli esempi che ci dà Santa Rita e che, in questo momento, non ho tempo di richiamare. Carità verso i fratelli, perdono anche ai nemici, lo abbiamo detto nella preghiera; dedizione a tutti, al servizio di tutti. Carità che ci fa essere solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità, evitando tutti gli egoismi, amando gli altri come noi stessi. E ancora: è una parola dura, fratelli carissimi, ma è parola di Dio e Santa Rita, l’ho già accennato, l’ha messa meravigliosamente in pratica. “Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Non rendete a nessuno male per male” (Rm 12,14.17). Ah, fratelli, permettete che ve lo dica: se ci fosse qualcuno che fa il pellegrinaggio a Santa Rita e poi conservasse nel cuore sentimenti di rancore, di risentimento, non volesse perdonare, servirebbe ben poco pregare Santa Rita, portare a casa le rose benedette e tutte le devozioni che si possono fare. Santa Rita, che ha amato anche i nemici, che ha perdonato con la massima generosità, ci invita a mettere in pratica questa parola di Dio: “benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite, non rendete a nessuno male per male”.
Ci invita la parola di Dio a condividere con il prossimo, ad aprire il cuore agli altri; rallegratevi con quelli che sono nella gioia; mai invidiare chi sta meglio di noi, ma essere contenti con chi è nella gioia. Piangete con quelli che sono nel pianto, mai indifferenti verso quelli che soffrono, ma disposti a comprenderli, ad aprirvi verso di loro. Abbiate gli stessi sentimenti gli uni verso gli altri, cercando di andare sempre d’accordo. Non aspirate a cose troppo alte, non compiacetevi della vostra sapienza: chi comincia a pensare di valere più degli altri, non può avere la vera carità verso il prossimo. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini: cogliete tutte le occasioni per compiere il bene, per aiutare i fratelli. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. San Paolo è realista. Ci dice che dobbiamo stare in pace con tutti: ma dice: “se possibile”. Perché? Perché qualche volta non è possibile. Cioè: stare in pace con tutti, cercare di andare d’accordo con tutti, salvando sempre la verità e la giustizia. Se stare in pace con tutti volesse dire: approvare quelli che sono prepotenti, che solo perché stanno più in alto conculcano i diritti degli umili, che sfruttano i loro fratelli, allora non è possibile avere la pace nel senso di approvare quello che fanno. La pace va osservata nel rispetto della verità e nel rispetto della giustizia. Vi sono dei doveri di giustizia verso i diritti dei fratelli che sono al primo posto e sarebbe uno sbaglio ben grosso credere di fare la carità a qualcuno per poi fare l’ingiustizia agli altri, opprimere i deboli, sfruttare il prossimo.
“Non lasciarti vincere dal male”, soggiunge ancora Paolo “ma vinci con il bene il male” (Rm 12,21). Quanto è bello tutto questo! A me viene in mente una figura tanto cara a tutti noi, che, in questo decennio ormai imminente della sua morte, ricorderemo con particolare commozione: la figura di papa Giovanni. “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male”. Non ha voluto pronunciare condanne e anatemi: non ha mai approvato il male, ma ha sempre cercato di vincere il male con il bene. È con la bontà, con l’amore, che si vince il male.
Come realizzare questi programmi?
Ecco il programma che ci richiama Santa Rita. Credete che sia un programma facile da mettere in pratica? Io credo di no. Infatti, quante volte ce lo siamo proposti, ma ne restiamo ben lontani nei fatti! Vediamo se la parola di Dio ci suggerisce i mezzi per realizzarlo.
“Quanti temete il Signore, confidate in lui...Quanti temete il Signore, sperate i suoi benefici” (Sir 2,7-9).
Siate “lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rm 12,12).
“Rimanete in me e io in voi...Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto...Se rimanete in me, e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato” (Gv 15,4-5.7).
La parola di Dio ci invita alla speranza.
Se ponessimo la nostra fiducia in noi stessi, nelle nostre forze, saremmo delusi: ma la nostra speranza è in Dio Padre nostro, in Gesù Cristo nostro Salvatore. La speranza, che sostenne Santa Rita nelle prove più dolorose, ci stimola alla preghiera: quella preghiera che la nostra Santa praticava con un’assiduità e un fervore ammirabili, e che deve essere nostro impegno quotidiano.
Al centro della nostra preghiera, la Messa. Come nel giorno della sua festa voi mostrate con la vostra presenza qui che soprattutto con la partecipazione all’Eucaristia volete onorare Santa Rita, così sia vostro impegno la fedeltà alla messa domenicale, l’incontro dei fratelli intorno alla croce di Cristo Salvatore, alla mensa in cui egli si dà a noi come cibo, affinché possiamo sempre rimanere in lui e portare frutto di virtù, di grazia, di vita eterna.
La mèta che ci attende
Su questo argomento, un solo pensiero che ci viene suggerito dalla prima lettura.
Qualcuno potrebbe credere che il pensiero della felicità eterna, del paradiso, sia la finale obbligatoria di ogni predica. In realtà è la mèta a cui tende tutta la nostra vita. Noi onoriamo i Santi non come eroi del tempo passato, scomparsi per sempre, ma come fratelli che vivono in Cristo, intercedono presso di lui, unico mediatore, e ci aspettano per condividere con noi il gaudio eterno. Anche la festa di Santa Rita, pertanto, ci ricorda che siamo in cammino verso la patria che ci attende. La “grazia” più importante, più necessaria, più urgente che dobbiamo chiedere al Signore per la sua intercessione è la salvezza eterna, per noi e per i nostri.
Rinnovamento e riconciliazione
Omelia del 22 maggio 1974
Vogliamo tornare indietro di oltre cinquecento anni, precisamente al 1450. Santa Rita si trovava da parecchi anni nel suo convento. In quell’anno il papa Nicolò V indisse un solenne Giubileo: un Anno Santo. Santa Rita desiderava tanto di parteciparvi andando in pellegrinaggio a Roma insieme con alcune consorelle, ma il terribile male che la tormentava le rendeva la cosa impossibile. Secondo la tradizione che ci è riferita, pregò il Signore che le consentisse di adempiere questo desiderio; fu guarita e poté partecipare al pellegrinaggio dell’Anno Santo.
L’Anno Santo
Ebbene quest’anno la festa di Santa Rita cade nell’Anno Santo. Mi pare giusto che la vediamo in questa luce, poiché tutti siamo impegnati a seguire l’invito del Papa, l’invito di tutta la Chiesa a entrare nello spirito dell’Anno Santo. Anno di grazia, anno di benedizione. Noi ci rivolgiamo a Santa Rita nella nostra preghiera, chiedendo a lei di intercedere presso Gesù, l’unico mediatore, per ottenerci tutte le grazie di cui abbiamo bisogno. Ma soprattutto ci rivolgiamo a Santa Rita per meditare sugli esempi che ci ha dato, perché ai Santi dobbiamo pensare come ai nostri modelli. Possiamo comprendere gli esempi che ci ha dato Santa Rita meditando sulla parola di Dio che abbiamo ascoltato in questo momento. Gesù, nell’ultima sera della sua vita, nel Cenacolo, parla agli Apostoli e, tra l’altro, dice: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie...Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me” (Gv 15,1-4). Cosa ci dice Gesù? Che noi siamo uniti con lui in forza del Battesimo, come i tralci sono uniti alla vite e fanno una cosa sola con la vite. E allora? Allora cerchiamo di vivere la vita di Gesù Cristo.
Anno di rinnovamento
L’Anno Santo è un invito al rinnovamento, alla conversione. Cosa vuol dire rinnovarci? Vuol dire unirci a Gesù Cristo nell’intimo nostro, vivere la sua vita. Cosa vuol dire convertirci? Vuol dire ritornare a Gesù Cristo dal quale ci siamo allontanati col peccato. È un invito, dunque, alla conversione, un invito a detestare il nostro peccato, a chiederne sinceramente perdono e a proporre di cambiare vita, di cambiare tutto quello che è contrario in noi alla legge di Dio, che è legge di amore verso Dio e verso il prossimo. Convertirci a Gesù Cristo!
Pensiamo all’esempio che ci dà Santa Rita, al suo spirito di preghiera, per cui passava le notti nella contemplazione della passione di Gesù Cristo. Pensiamo alla unione con Gesù Cristo sofferente che le fu concessa in modo singolarissimo e che per lei fu motivo di grandissime sofferenze sopportate, non solo con rassegnazione, ma con gioia per rassomigliare di più a nostro Signore Gesù Cristo. Non è questo che chiede il Signore a ciascuno di noi? Però ci chiede di ritornare a Gesù, ritornare a Gesù nello spirito di preghiera, nello spirito di fede, nel mettere lui al centro di tutta la nostra vita. Pentimento! Conversione! Lo so che molti che vengono a Santa Rita profittano di questa festa per fare la loro confessione, per alcuni la confessione pasquale, per altri una confessione di cui sentono il bisogno per purificare sempre di più la loro coscienza perché Gesù dice: “Ogni tralcio che porta frutto (il Padre) lo pota perché porti più frutto” (Gv 15,2). Cioè abbiamo bisogno, con l’aiuto del Padre celeste, di tagliare in noi tutto ciò che è peccato, per essere puri davanti agli occhi di Dio. Una cosa sola vorrei ricordare: la confessione, la confessione pasquale, ogni confessione che noi facciamo dev’essere veramente un impegno di conversione. Non si tratta soltanto di snocciolare una serie di peccati, ma si tratta di riconoscersi peccatori, di voler cambiare, con la grazia di Dio, guardando a fondo nella nostra coscienza per domandarci cos’è che non ci permette di rimanere uniti a Gesù Cristo come il tralcio alla vite.
Anno di riconciliazione
L’Anno Santo, ci ha detto ancora il Papa, è anno di riconciliazione. Riconciliazione! Cioè, se c’è stata una rottura fra noi e Dio, fra noi e Gesù Cristo, dobbiamo rimediare a questa rottura ritornando a lui nel pentimento sincero. Ma riconciliazione vuol dire anche riconciliarsi con i fratelli. San Paolo, nella lettura, ci presenta tutto un programma sul modo di vivere nella riconciliazione con i fratelli. Ci dice cosa dobbiamo evitare e cosa dobbiamo fare. “La carità non abbia finzioni” (Rm 12,9): non una carità apparente soltanto, che non può ingannare gli occhi di Dio. “Non siate pigri nello zelo” (Rm 12,11): non lasciamoci prendere dalla pigrizia nell’aiutare i nostri fratelli. “Benedite e non maledite” (Rm 12,14). “Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi” (Rm 12,16): evitare la superbia, evitare tutto ciò che turba i nostri rapporti col prossimo. “Non rendete a nessuno male per male” (Rm 12,17). Sarebbe uno sbaglio ben grave se qualcuno credesse di essere devoto dei Santi, di essere cristiano, mentre coltiva nel cuore risentimenti, rancori, desideri di vendetta, gelosie, invidie, e tutto ciò che conturba quell’atmosfera di amore che deve regnare fra i cristiani.
L’esempio di Santa Rita
Santa Rita, anche a questo riguardo, ci è di mirabile esempio. Non vendicarsi, perdonare, non rendere a nessuno male per male. Ricordiamo solo la prova tremenda a cui la Santa fu sottoposta quando suo marito fu ucciso brutalmente ed essa perdonò, perdonò di cuore. E fece tutto il possibile perché i suoi due figli, che non potevano dimenticare l’atroce offesa recata al padre, anch’essi s’inducessero a perdonare. Santa Rita ci è di esempio in questo spirito di riconciliazione, di carità fraterna, non solo nel perdono, ma in tutto quello che è l’aspetto positivo di questo amore fraterno.
Dice qui San Paolo: “amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10). Dunque non chiudersi nel nostro egoismo, ma aprirsi agli altri, con vero affetto di fratelli. “Siate ferventi nello spirito, servite il Signore, lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità” (Rm 12, 11-13). C’è qui tutto un programma magnifico di vita cristiana. Vorrei suggerirvi, quando tornate a casa, se avete, come mi auguro, una Bibbia o almeno il Nuovo Testamento, andate a prendere la lettera ai Romani di San Paolo al capitolo 12 e rileggete quello che abbiamo sentito leggere in questo momento. “Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini” (Rm 12,17): ecco la grande preoccupazione. Che noi pensiamo di star bene è giusto. Che noi cerchiamo di trovare sollievo nelle nostre pene, nelle nostre ansie, che chiediamo ai Santi che intercedano per noi per liberarci dalle sofferenze che ci tormentano: tutto questo è legittimo. Ma sempre a condizione che miriamo al bene vero nostro e di tutti gli uomini. Prima di tutto al bene dell’anima, alla fede, alla grazia di Dio e a quel bene infinito che ci attende nell’eternità. “Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini” (Rm 12,17). La carità deve estendersi a tutti. Penso ai molti che, grazie a Dio, questo lo comprendono e non soltanto aiutano i bisognosi che sono vicini, ma si preoccupano dei fratelli lontani, del Terzo mondo; penso a tutti coloro che senza odio e senza violenza, ma con profondo senso di giustizia, nel rispetto dei diritti di tutti, si adoperano perché la società diventi più giusta, più aperta alle necessità di tutti i fratelli, specialmente dei più poveri, di quelli che non possono far sentire la loro voce. “Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti” (Rm 12,18); ecco il programma di Paolo: stare in pace con tutti. Se rifiutiamo di stare in pace, anche solo con uno dei nostri fratelli, non adempiamo il programma propostoci dalla parola di Dio e non imitiamo Santa Rita. Pensiamo agli esempi che essa diede: primo, nella sua vita coniugale, di una sopportazione eroica del carattere molto difficile di suo marito, e poi nella vita claustrale nella pratica della carità, della comunione perfetta con le sue consorelle, di cui essa fu modello per tutta la sua vita. Dice perfino San Paolo: “se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male” (Rm 12,20-21). Ecco dunque: programma di bontà, programma di carità, programma di amore fraterno.
Carissimi, siamo qui per la celebrazione della Messa. Là, in fondo, presso la porta della chiesa, c’è la statua della Santa che oggi noi, fervorosamente, veneriamo e invochiamo. Qui c’è l’Altare; l’Altare sul quale stiamo per offrire il Santo Sacrificio, come per dirci che Santa Rita, così come tutti i Santi, vuole portarci a Gesù; vuole condurci a Gesù intercedendo per noi le grazie di conversione, di maggior fede, di maggior amore; vuole portarci a Gesù proponendoci il suo esempio a nostra imitazione.
Con questi sentimenti continuiamo la nostra celebrazione, con l’impegno di entrare nello spirito dell’Anno Santo, di vedere tutto ciò che nella nostra vita va contro l’amore di Dio per noi e di riconciliarci, per vivere in carità sempre più sincera e generosa con tutti i nostri fratelli.
La devozione ai Santi
Omelia del 22 maggio 1975
In quest’anno 1975 si compiono dieci anni dalla chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Tra le tante cose, tutte belle e importanti, che il Concilio ci ha insegnato, ci sono anche degli insegnamenti preziosi riguardo alla devozione che noi dobbiamo ai Santi, al culto dei Santi. Vorrei presentarvi alcuni di questi insegnamenti oggi, nella solennità di Santa Rita, perché veramente questa festa possiamo celebrarla così come la Chiesa richiede da noi e come evidentemente Santa Rita desidera dai veri devoti.
Anzitutto, perché ricordiamo i Santi? Per capire la devozione ai Santi, dobbiamo capire che cos’è la Chiesa. Devozione ai Santi non vuol dire semplicemente che un cristiano, per conto suo, si mette davanti ad un’immagine di Santa Rita e lì prega per ottenere una grazia come se al mondo ci fossero soltanto lui e Santa Rita. No. La devozione ai Santi vuol dire ricordarsi chi sono i Santi nella Chiesa e come tutti insieme, nella Chiesa, noi formiamo la famiglia dei figli di Dio. Ecco allora il Concilio a dirci che tra i discepoli di Gesù Cristo alcuni sono pellegrini sulla terra e siamo noi, ancora viventi su questa terra; altri, passati da questa vita, stanno purificandosi nel purgatorio e altri godono nella gloria contemplando chiaramente Dio uno e trino quale egli è (LG 49). Ecco i Santi, quelli che noi chiamiamo Santi, tra cui Santa Rita.
Dunque abbiamo tre categorie di cristiani: sulla terra, nel purgatorio e in cielo. Ma tutti insieme, formiamo una sola grande famiglia che si chiama la Chiesa perché, dice ancora il Concilio, “tutti, sebbene in grado e modo diverso, comunichiamo nella stessa carità di Dio e del prossimo”, siamo uniti nell’amare Dio e nell’amare i fratelli, “e cantiamo al nostro Dio lo stesso inno di gloria. Tutti infatti quelli che sono di Cristo, avendo lo Spirito Santo, formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in Lui” (LG 49). È quanto ci insegna il Vangelo che abbiamo sentito adesso, dove Gesù dice: “Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15,5); noi tutti facciamo una cosa sola con Gesù e tra noi: ecco la Chiesa. Nella lettura San Paolo ci ha ricordato che tutti dobbiamo sentirci solidali tra di noi, sentirci fratelli, mai essere indifferenti verso gli altri. “Amatevi gli uni gli altri – ci ha detto San Paolo – con affetto fraterno... Siate solleciti per le necessità dei fratelli. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,15). È quello che ha fatto Santa Rita, sempre così dimentica di sé, sempre così aperta agli altri, disposta a comprendere gli altri, a gioire e a soffrire con gli altri, ad aiutare tutti quelli che avevano bisogno, nella sua famiglia e fuori.
Imitare i Santi
Un altro insegnamento ci dà il Concilio. È l’impegno che noi dobbiamo mettere per imitare i Santi. La Chiesa è santa, lo diremo fra un momento nel credo: “la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica”, ed è santa specialmente in quei fratelli che noi chiamiamo i Santi. Ma tutta la Chiesa deve essere santa, e tutti noi dobbiamo cercare di diventare santi; perciò dobbiamo cercare di fare quello che hanno fatto i Santi. “Ci è insegnata una via sicurissima – leggiamo nel Concilio – per la quale, tra le mutevoli cose del mondo potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno” (LG 50). Così, la parola può spaventarci, siamo chiamati a farci santi... Ma, i Santi non sono santi perché fanno dei miracoli (o meglio i miracoli li fa Dio solo, i Santi con la preghiera ottengono le grazie di Dio per noi); no, i Santi sono santi in quanto hanno amato Gesù Cristo, Dio nostro Padre, ed hanno amato i fratelli. In questo consiste la santità e, come il Concilio ci ricorda, ciascuno, nella propria condizione, può diventare santo e tutti dobbiamo aspirare a diventare santi. La santità non è per niente un monopolio dei vescovi, dei frati, delle monache. Santo può diventare un operaio, un padre di famiglia, un professionista: sante potete diventare voi, madri di famiglia che siete qui; santi sono chiamati a diventare i vostri bambini se voi li educate ad amare sinceramente il Signore e i fratelli; tutti siamo chiamati alla santità. E la santità di S. Rita è un esempio per noi. Certo essa ha fatto anche delle cose straordinarie, ma la sua vita non è stata un tessuto di cose straordinarie; la sua vita è stata vissuta nella famiglia, nel lavoro, nell’accettazione della fatica, della sofferenza, nella preghiera, e in questo noi dobbiamo cercare di imitarla. Nella preghiera d’inizio della Messa, abbiamo chiesto specialmente questa grazia, di imitare Santa Rita nell’accettare la sofferenza. È un uso caro ai devoti di S. Rita, quello di portare a casa le rose benedette, e va bene: ma anche le rose di Santa Rita, io credo, hanno le loro spine. Il che vuol dire che anche noi, nella nostra vita, non abbiamo soltanto delle rose ma anche delle spine, e dobbiamo accettarle; e non semplicemente le spine lasciarle agli altri e noi tenere le rose, ma prendere la nostra parte anche di spine come l’ha presa Santa Rita per unirsi a Gesù che ha tanto sofferto.
La festa dei Santi
Un’altra cosa. Celebriamo la festa di Santa Rita: perché siete venuti qui oggi a celebrare questa festa? Io mi immagino che siate pur venuti per chiedere qualche cosa a S. Rita. Qualche grazia, come si dice, ed è giusto. Noi possiamo aspettarci le grazie dai Santi o meglio, come ho detto, possiamo aspettarci, aver fiducia, che il Signore, pregato dai Santi, ci faccia i suoi doni, le sue grazie. Il Concilio ci ricorda: i Santi, “ammessi nella patria e presenti al Signore, per mezzo di lui, con lui e in lui, non cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini” (LG 48). L’unico mediatore è Gesù; è lui soltanto il Salvatore; è nel nome di lui che siamo stati perdonati dei nostri peccati, che ci è stata aperta la via al paradiso. Il cristiano non è uno che crede in Santa Rita o in Sant’Antonio; il cristiano è uno che crede in nostro Signore Gesù Cristo e ricorre anche all’intercessione dei Santi, è in primo luogo di quella che è la più santa delle creature: Maria Santissima; ma il Salvatore rimane sempre unicamente lui: Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo.
I Santi conducono a Cristo
Mi pare che già qualche volta, negli anni scorsi, vi ho ricordato che la statua di Santa Rita, sta là all’entrata della chiesa non perché ci fermiamo là, ma perché partendo di là veniamo qui, e qui cosa troviamo? Qui troviamo la Croce, qui troviamo l’Altare, cioè troviamo Gesù Cristo. Così i Santi ci portano a Gesù Cristo e pregano per noi. Dunque noi dobbiamo ricorrere all’intercessione dei Santi, per chiedere le loro grazie, ma quali grazie? Attenti bene. Quali grazie? Certo anche le grazie di cui abbiamo bisogno per questa vita che passa, per il nostro corpo, per la nostra salute, per i nostri interessi. Dopotutto Gesù, pregato dalla Madonna a Cana, non ha cambiato l’acqua in vino, non ha moltiplicato due volte i pani, non ha guarito un’infinità di ammalati? Certo il Signore fa anche queste grazie, per l’intercessione dei Santi; ma c’è qualche grazia che conta di più: è la grazia, lo dicevo già, di imitare le virtù di Santa Rita, la sua bontà, il suo amore per il prossimo, il suo spirito di preghiera, di sacrificio.
I Santi, dunque, sono fatti per condurci a Gesù Cristo. Perciò il Concilio dice ancora: “Ogni nostra vera attestazione di amore fatta ai Santi, per sua natura tende e termina a Cristo, che è la “corona di tutti i Santi” e per lui a Dio, che è mirabile nei suoi Santi e in essi è glorificato” (LG 50). Sarà capitato anche a voi come è capitato a me di sentire, di leggere chi accusa la devozione ai Santi come se fosse una superstizione; ebbene, probabilmente ci sono dei cristiani che praticano la devozione ai Santi o credono di praticarla in modo superstizioso, quando si dimenticano di Gesù Cristo. Non so se devo raccontarvi un piccolo episodio che sembra una barzelletta ma non lo è. Ve lo conto per spiegarmi bene. Viene da me un signore, parecchi anni fa. Mi dice: “Sa, ho avuto una grande grazia, mio figlio che doveva subire un’operazione gravissima è invece guarito senza operazione. Ho pregato Papa Giovanni. E poi ho anche pregato Padre Pio. E poi ho pregato ancora un altro, adesso non mi ricordo, mi aiuti un po’ lei!”. “Ma come faccio a sapere, con tanti Santi che ci sono nel paradiso?”. “Ecco, ora mi ricordo – dice – ho pregato Gesù Cristo!”. Avete capito? Ecco la superstizione, quando ci si ferma ai Santi e si dimentica nostro Signore Gesù Cristo. Non faccio il torto a voi di credere che la pratichiate così la devozione a Santa Rita, ma è necessario ricordarsi sempre che Santa Rita ci porta a nostro Signore Gesù Cristo e che Gesù Cristo è morto sulla croce per ottenerci il perdono dei peccati; e quindi, se vogliamo essere devoti dei Santi, bisogna che noi, sul serio, ci scrolliamo di dosso i nostri peccati e cerchiamo di convertirci, cerchiamo di cambiar vita decisamente, di compiere integralmente il nostro dovere cristiano con la grazia di Dio.
Invito alla speranza
Ancora un pensiero che ci viene suggerito dal Concilio. La devozione ai Santi e quindi anche la devozione a Santa Rita, è un invito alla speranza. I Santi, l’abbiamo detto dal principio, sono i nostri fratelli che non sono più in viaggio sulla terra come siamo noi, ma che hanno raggiunto la mèta, la patria che è il paradiso. Così i Santi ci ricordano che c’è una vita futura, perché essi sono vivi come noi e più di noi e ci ricordano che anche noi siamo chiamati a regnare con Cristo glorioso. I Santi ci richiamano questa realtà, che “tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male” (2 Cor 5,10), e alla fine del mondo “ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Gv 5,29). Ecco la vita futura: la morte, il giudizio, il paradiso a cui il Signore ci chiama e l’inferno in cui disgraziatamente potremmo cadere se fino all’ultimo resistessimo alla grazia del Signore che ci vuole salvi. I Santi ci ricordano che appunto c’è un’altra vita che ci attende. I Santi ci animano a quella che nella liturgia della Messa chiameremo anche oggi “la beata speranza”; la speranza che già in questa vita deve accompagnarci: povera nostra vita se noi perdessimo la speranza. Ebbene i Santi ci sono vicini come amici buoni che ci aiutano a sperare. Non è vero che qualche volta, quando ci sentiamo preoccupati e addolorati, e non vediamo più uno spiraglio di luce attorno a noi, se ad un certo momento si avvicina una persona della famiglia o una persona amica in cui abbiamo piena fiducia, a cui possiamo aprire il cuore, sfogarci, allora la speranza rinasce nell’animo nostro e ricominciamo con serenità e fiducia il nostro cammino? Così i Santi ci aiutano per questo. Il Concilio ce lo ricorda col richiamo alle parole di S. Paolo: “Stimando quindi che “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8,18), forti nella fede “nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo” (Tt 2,13), “il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,21)” (LG 49).
Un momento fa, nella lettura, San Paolo ci ha fatto sentire il suo invito: “Siate lieti nella speranza” (Rm 12,12). Vorrei concludere così, vorrei che ascoltassimo proprio come dalle labbra e dal cuore di Santa Rita questo invito: “Siate lieti nella speranza”, nella speranza che il Signore ci sarà vicino in mezzo alle prove e alle tribolazioni di ogni giorno, nella speranza che Egli aiuterà specialmente quelli che sono più provati dalla sofferenza, dalla miseria, dall’oppressione, dalla fame, dallo sfruttamento e che noi dobbiamo cercare di aiutare per essere collaboratori della loro gioia, come dice altrove San Paolo; la speranza in quella vita futura a cui siamo chiamati e nella quale le sofferenze della vita presente troveranno la loro ricompensa eterna. Questa speranza, carissimi, ci animi nella preghiera con cui adesso riprendiamo la nostra celebrazione, specialmente nella liturgia eucaristica in cui Gesù, che è la sorgente della nostra speranza, si farà presente per assicurarci del suo amore, del suo aiuto.